Eccoci qui con un nuovo appuntamento per lo "Speciale Halloween", presentandovi un secondo racconto Horror, questa volta dell'altro grande scrittore Horror, Edgar Allan Poe.
Come ieri vediamo un po' qualcosa dell'autore...Edgar Allan Poe nacque a Boston il 19 gennaio 1809 e morì in circostanze mai chiarite e del tutto misteriose, a Baltimora il 7 ottobre 1849, a soli 40 anni. È ad oggi considerato una tra le figure più importanti della letteratura americana, precursore del racconto poliziesco (il suo personaggio Auguste Dupin si può considerare l'antenato più diretto di Sherlock Holmes), della Letteratura horror e del giallo psicologico, finisce per diventare anche uno dei rappresentanti maggiori del racconto gotico assieme a Lovecraft, sebbene la sua vita e le sue opere siano posteriori rispetto al periodo del Romanzo gotico. Del movimento neogotico, infatti, riprende talune suggestioni, svincolandosi però dalle ambientazioni tipiche del gotico, e sviluppandone più gli aspetti psicologici, indagando fra le ossessioni e gli incubi personali. I Racconti del terrore sono sicuramente quelli più conosciuti dal pubblico e ho pensato di proporvi uno tra quelli che maggiormente mi ha terrorizzata (e nonostante lo abbia riletti più volte, mi turba ancora!).
IL CUORE RIVELATORE
Si; è vero! – son nervosissimo, spaventevolmente nervoso
– e lo sono stato sempre; ma perchè volete pretendere
ch'io sia pazzo? La malattia m'ha aguzzato i sensi, ma
non li ha distrutti, non li ha ottusi. Più di tutti gli altri,
avevo finissimo il senso dell'udito. Ho sentito tutte le
cose del cielo e della terra. Ne ho sentite molte dell'inferno.
E dite che son pazzo? State attenti! E osservate
con quale precisione, con quale calma vi posso raccontare
tutta la storia.
Come l'idea m'entrasse dapprima nel cervello, m'è impossibile
dirvelo; ma, una volta concepita, non mi lasciò
più, nè giorno, nè notte. D'oggetto non ce n'era. La passione
non c'entrava per nulla. L'amavo quel buon vecchio.
Non m'aveva fatto mai del male. Non m'aveva mai
insultato. Il suo denaro non lo desideravo. Credo che
fosse il suo occhio! Certo, era quello! Uno dei suoi occhi
assomigliava a quello d'un avoltojo – un occhio blu
pallido, con sopra una macchia. Ogni volta che quell'occhio
mi cadeva addosso, mi si gelava il sangue; e così,
lentamente... a gradi... mi misi in testa di troncar la vita
del vecchio, e con quel mezzo liberarmi per sempre dall'occhio.
Ed ecco il buono! – Voi mi credete pazzo. I pazzi non
sanno nulla di nulla. Ma se mi aveste visto! Se aveste
visto con che sapienza procedetti!... con che precauzio-
ne... con quale preveggenza... con quanta dissimulazione
mi misi all'opera! Il vecchio non mi trovò mai tanto
amabile quanto durante l'intera settimana che precedette
l'assassinio. E ogni notte, verso mezzanotte, giravo la
maniglia della sua porta, e l'aprivo... oh! tanto dolcemente!
E allora, quando l'avevo abbastanza dischiusa
per la mia testa, introducevo una lanterna cieca, chiusa,
chiusa, ben chiusa, che non lasciava filtrare alcuna luce;
poi passavo la testa. Oh! ma sareste rimasti, a vedere
con che destrezza passavo la testa! La muovevo lentamente...
lentissimamente, in modo da non turbare il sonno
dei vecchio. M'abbisognava certamente un'ora per introdurre
tutta la mia testa attraverso all'apertura, abbastanza
avanti per vederlo coricato nel suo letto.
Ah! poteva darsi che un pazzo fosse così prudente? – E
allora, quando la mia testa era ben dentro la camera,
aprivo la lanterna con precauzione; oh! ma con che precauzione,
con che precauzione! perchè la cerniera, strideva.
E l'aprivo giusto quanto bastava perchè un filo impercettibile
di luce andasse a cadere sull'occhio d'avoltojo.
E questo l'ho fatto sette lunghe notti – ogni notte a
mezzanotte precisa – ma trovai sempre l'occhio chiuso;
e così mi fu impossibile mandare ad effetto il divisamento;
perchè non l'avevo con quel povero vecchio, ma
col suo cattivo occhio. E, ogni mattina, allo spuntar del
giorno, entravo francamente in camera sua, gli parlavo
coraggiosamente, chiamandolo a nome con un tono cordiale,
e informandomi come aveva passata la notte. Mi
pare, eh? che avrebbe dovuto essere un vecchio molto
profondo se avesse pur sospettato che ogni notte, proprio
a mezzanotte, l'esaminavo mentre dormiva.
L'ottava notte fui ancora più cauto nell'aprir la porta. La
lancetta piccola d'un orologio si muove più presto di
quel che non facesse la mia mano. Giammai, prima di
quella notte, avevo sentito tutta la potenza delle mie facoltà,
della mia sagacia. Potevo appena contenere la mie
sensazioni di trionfo. Pensare che ero là, aprendo la porta,
a poco a poco, e che lui non si sognava neppure le
mie azioni e i miei pensieri segreti! A quell'idea mi lasciai
sfuggire un piccolo riso; e forse mi sentì, perché si
riscosse d'un tratto sul letto, come se si svegliasse.
Scommetto che voi pensate che allora mi ritirassi, ma
no, cari miei. La sua camera era nera come la pece, tanto
eran fitte le tenebre – perchè le imposte erano accuratamente
chiuse per paura dei ladri – e, sapendo che non
poteva vedere quella piccola apertura della porta, continuai
a girarla ancora, piano piano, a poco a poco.
Avevo passato la testa, ed ero al punto d'aprir la lanterna,
quando il pollice mi scivolò sulla serratura di latta,
ed il vecchio si rizzò sul letto, gridando:
– Chi è là?
Rimasi completamente immobile e non dissi niente. Per
un'ora intera non mossi un muscolo, e, durante tutto
quel tempo, non lo sentii ricoricarsi. Stava sempre a sedere,
in ascolto, proprio come avevo fatto io per intiere
notti.
Ma d'un tratto intesi un fievole gemito, e riconobbi ch'era
il gemito d'un terrore mortale. Non era un gemito di
dolore o d'affanno; oh! no, era il rumore sordo e soffocato
che si leva dal fondo d'un'anima sopraffatta dallo
spavento. Oh, io lo conoscevo bene quel rumore! Per
molte notti, a mezzanotte precisa, mentre che tutti, tutti
dormivano, era scaturito dal mio proprio seno, traversando
colla sua eco spaventosa i terrori che mi travagliavano.
Lo conoscevo bene, ripeto. Sapevo quel che
provava il povero vecchio, ed avevo pietà di lui, quantunque
avessi la gioja nel cuore. Sapevo ch'era rimasto
sveglio fin dal primo piccolo rumore, quando s'era rivoltato
nel letto. I suoi timori erano andati sempre crescendo.
S'era sforzato di persuadersi ch'eran senza ragione;
ma non aveva potuto. S'era detto a sè stesso:
– Non è altro che il vento nel camino; non è che un sorcio
che traversa il soffitto. Oppure: È semplicemente un
grillo che ha mandato il suo grido.
Sì, egli s'è sforzato di fortificarsi con quelle ipotesi; ma
tutto è stato vano. Tutto vano, perchè la Morte che s'avvicinava
era passata dinanzi a lui colla sua grande ombra
nera, e così aveva avviluppata la sua vittima. Ed era
l'influenza funebre dell'ombra inavvertita che gli faceva
sentire, quantunque non vedesse e non udisse niente,
che gli faceva sentire la presenza della mia testa nella
camera.
Quand'ebbi aspettato un bel pezzo, pazientissimamente,
senza sentirlo ricoricarsi, mi risolvetti a schiudere un po'
la lanterna, ma così poco, quasi nulla. L'aprii dunque,
cosi furtivamente, così furtivamente che non sapreste
nemmeno imaginarlo, sintanto che un sol raggio pallido
come un filo di ragno, si slanciò finalmente dall'apertura
e venne a cadere sull'occhio d'avoltojo.
Era aperto, spalancato, ed io entrai in furore appena l'ebbi
visto. Lo vidi nettamente, tutto d'un blu opaco e ricoperto
d'un velo orribile che mi ghiacciava il midollo nelle
ossa; ma non potevo vedere che quello della faccia e
della persona del vecchio; perchè avevo diretto il raggio,
come per istinto, precisamente sul luogo maledetto.
Ed ora, non v'ho già detto che quel che prendete per una
pazzia, non è che una iperacutezza dei miei sensi? Ora,
vi dirò, mi giunse agli orecchi un romore sordo, soffocato,
frequente, simile a quello d'un orologio avvolto nel
cotone. Quel suono lo riconobbi subito anche quello.
Era il battito del cuore del vecchio. Ebbe virtù d'accrescere
il mio furore, come il battere del tamburo porta all'esasperazione il coraggio del soldato.
Ma riuscii ancora a contenermi, e rimasi lì, senza muovermi.
Badavo a mantenere il raggio dritto sull'occhio.
Nello stesso tempo, la carica infernale del cuore batteva
più forte; diventava sempre più precipitata e ad ogni
istante sempre più forte. Il terrore del vecchio doveva
essere estremo! Quel battito, dico, diventava sempre più
forte di minuto in minuto. – Mi state attenti, eh? V'ho
detto ch'ero nervoso; e infatti lo sono. E allora, nel pieno
cuore della notte, tra il silenzio pauroso di quella
vecchia casa, un sì strano rumore mi mise addosso un
terrore indicibile, irresistibile. Potei contenermi e restar
calmo ancora qualche minuto. Ma il battito diventava
sempre più forte, sempre più forte. Doveva star per
scoppiare quel cuore! Ed ecco che una nuova angoscia
s'impadronì di me: il rumore poteva essere udito da
qualche vicino! – L'ora del vecchio era venuta! Con un
grand'urlo, aprii bruscamentee la lanterna e mi slanciai
nella camera. Non mandò che un grido, uno solo. In un
istante lo precipitai sul pavimento e gli rovesciai addosso
tutto il peso formidabile del letto. Allora sorrisi di
gioja, vedendo il mio affare così a buon punto. Ma, per
alcuni minuti, il cuore batte con un suono velato, che
però non mi diede alcuna angustia; non lo si poteva sentire
attraverso al muro. Finalmente, dopo un po', decrebbe,
si affievolì; si smorzò, si spense.
Il vecchio era morto. Rialzai il letto ed esaminai il corpo.
Sì, era morto, morto, stecchito. Gli misi la mano sul
cuore e ve la tenni per parecchi minuti. Nessuna pulsazione.
Era morto stecchito. M'ero liberato per sempre
dal suo occhio.
Se persistete sempre a credermi pazzo, questa credenza
svanirà quando v'avrò descritto le sagge precauzioni che
usai per nascondere il cadavere. La notte avanzava, ed
io lavorai vivamente, ma in silenzio. Tagliai la testa, poi
le braccia e poi le gambe.
Poi tolsi tre tavole dal pavimento della camera e depositai
il tutto tra i regoli. Poi rimisi a posto le tavole, così
abilmente, così destramente, che nessun occhio umano,
neppure il suo, avrebbe potuto scoprirvi qualche cosa di
sospetto. Non c'era niente da lavare, nemmeno una macchia,
nemmeno una chiazza di sangue. Eh! ci avevo
pensato. Una tinozza aveva assorbito tutto. Ah! ah!
Quand'ebbi finita tutta la bisogna – eran le quattro – era
sempre scuro come a mezzanotte. Mentre che l'orologio
suonava l'ora, fu picchiato alla porta di strada. Andai giù
per aprire – poichè che cosa avevo da temere ora. Entrarono
tre uomini, che si presentarono con molta urbanità,
come ufficiali di polizia. Durante la notte un vicino aveva
sentito un grido che aveva fatto nascere il sospetto di
qualche guajo; era stata trasmessa una denunzia all'ufficio
di polizia, e quei signori (gli ufficiali) erano stati
mandati a visitare il luogo.
Sorrisi – perchè che cosa avevo da temere? Diedi il benvenuto
a quei signori. – Il grido, dissi, l'avevo mandato
io sognando. Il vecchio, aggiunsi, era in viaggio per la
provincia.
Condussi i visitatori a girar tutta la casa. Finalmente li
condussi in camera sua. Mostrai loro i suoi tesori, in
perfetta sicurezza, tutti in ordine. Nell'entusiasmo della
mia fiducia, portai delle sedie nella camera, e li pregai
di riposarsi dalla loro fatica, mentre ch'io stesso, colla
folle audacia d'un trionfo perfetto, collocai la mia propria
sedia sul luogo stesso dov'era chiuso il corpo della
vittima.
Gli ufficiali eran soddisfatti. I miei modi li avevan convinti.
Mi sentivo proprio libero, a mio agio, senza imbarazzo.
– Si misero a sedere e discorsero di cose familiari,
alle quali risposi franco ed allegro. Ma, di lì a poco
tempo, sentii che diventavo pallido, e desiderai che se
n'andassero. Mi doleva la testa, e mi sembrava di sentirmi
un tintinnio nelle orecchie; ma quelli restavan sem-
pre seduti e chiacchieravan sempre. Il tintinnio divenne
ancora più distinto; persistette e divenne ancora più distinto.
Chiacchierai più abbondantemente per isbarazzarmi
da quella sensazione; ma non mi lasciò, e prese
un carattere del tutto deciso, tanto che alla fine m'accorsi
che il rumore non era dentro le mie orecchie.
Senza dubbio allora divenni pallidissimo; ma io chiacchieravo
ancora più lesto e più forte. Il rumore aumentava
sempre – ed io che potevo fare? – Era un rumore
sordo, soffocato, frequente, assai simile a quello che farebbe
un orologio involto nel cotone. Respirai laboriosamente;
gli ufficiali non sentivano ancora. Parlai più lesto;
con più veemenza; ma il rumore cresceva, incessante.
M'alzai, e disputai su delle piccolezze, in un diapason
elevatissimo e con una violenta gesticolazione; ma
il rumore cresceva, cresceva sempre. Perchè non se ne
volevano andare? – Scorsi il tavolato qua e là, pesantemente,
a gran passi, come esasperato dalle osservazioni
dei miei contradittori. Ma il rumore cresceva regolarmente.
Oh, Dio! che potevo fare? Schiumavo, balzavo,
sacramentavo. Agitavo la mia sedia facendola scricchiolar
sul pavimento. Ma il rumore dominava sempre, e
cresceva indefinitamente. Diventava più forte, più forte!
sempre più forte! E quegli uomini discorrevano sempre,
scherzavano e sorridevano. Ma era mai possibile che
non sentissero? Dio onnipotente! – No, no, sentivano!
sospettavano! sapevano! si facevano un giuoco, un divertimento
del mio terrore! Lo credetti e lo credo ancora.
Ma tutto, tutto era più tollerabile di quella derisione!
Non potevo sopportar di più quegli ipocriti sorrisi! Sentii
che bisognava gridare o morire! – e ancora, e sempre,
lo sentite? – ascoltate! più forte! – più forte! sempre più
forte! sempre più forte!
– Miserabili! gridai, non fingete più! Confesso! strappate
quelle tavole! è là, è là! è il battito del suo orribile
cuore!
NB: Il testo l’ho scaricato gratuitamente e legalmente dal sito italiano di Liber Liber, ideatore del “Progetto Manuzio”. (La formattazione del testa dipende dall’averlo scaricato).
Adoro Poe, se non fosse che a volte i suoi racconti sono criptici XD Questo è comunque uno dei migliori!
RispondiEliminaLagunaBlu
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