Titolo: Afghanista, dove Dio viene solo per piangere
Autore: Siba Shakib
Casa Editrice: Piemme
Pagine: 348 pagine
Prezzo: € 11
Trama
Shirin-Gol conosce l’azzurro del cielo, il suo villaggio, la cieca obbedienza agli uomini. Ma quando la guerra devasta il suo Paese, quella quiete apperente va in frantumi. Conoscerà la fuga, la paura, la violenza. Per sopravvivere imparerà a leggere e a scrivere ribellandosi a un destino per lei già deciso.
Recensione
Ho terminato questo libro da un paio di settimane ormai ma mai come questa volta ho avuto difficoltà nel scrivere una recensione. Si tratta di una storia molto forte, che non poche volte mi ha spinto a pensare: “Basta! Non posso continuare a leggere!”. E invece no, non è nella mia mentalità lasciare un libro a metà, l’ho terminato, ma al momento di mettere per iscritto le mie emozioni e le mie sensazioni ho avuto un blocco. Ma ci tengo a parlarvi di questo romanzo, perché questa è la realtà. Noi possiamo vivere nel nostro Bel Paese, dove le uniche guerre a cui assistiamo sono solo le diatribe tra i politici, dove puoi camminare per le strade senza rischiare di saltare su una mina, o essere presa a sassate, o peggio ancora essere usata come bersaglio umano da militari armati. Ma al di là del mare, tutto questo succede quotidianamente e per quanto noi Occidentali ci scandalizziamo, 5 minuti dopo la nostra vita riprende tranquilla come prima.
La protagonista del romanzo è Shirin-Gol, una donna afgana che in un campo profughi incontra una scrittrice (che sembra essere proprio Siba Shakib). Ella cerca una storia per il suo romanzo sulle donne afgane e Shirin-Gol si offre come narratrice. Narratrice di una storia tragica e avventurosa allo stesso tempo: la sua vita!
Shirin-Gol, nella lingua afgana, significa Dolce Fiore, nona di undici fgli, vive la sua infanzia serenamente. Almeno fino ai 3 anni, quando arrivano i Russi. Per Shirin-Gol non è un male perché è grazie ai Russi se lei ha avuto la possibilità di andare a scuola e imparare a leggere e a scrivere, cosa che in più di una circostanza l’hanno aiutata ad andare avanti. Ma mentre lei è felice dell’avvento Russo in Afghanistan, il resto della famiglia mal vede questa invasione e così i maschi della sua famiglia, imbracciano i fucili e saliti sulle montagne diventato Mujahedin, che significa Martire, mentre le sorelle maggiori, dopo essersi dipinte le labbra di rosso, nascondono un coltello sotto le gonne e scendono giù nel villaggio. Ma Shirin-Gol è troppo piccola per capire cosa sta succedendo, per lei esiste solo la cura dei gemellini (gli ultimi 2 della famiglia) e la scuola. Ma all’età di 14 anni, un fratello di Shirin-Gol, dove aver perso a carte, paga l’avversario concedendogli in sposa la sorella. L’uomo si chiamava Morad, e nonostante le mille difficoltà, la loro sarà un’unione non felice, ma nemmeno infelice. Shirin-Gol avrà 6 figli, 3 femmine e 3 maschi, 4 di Morad e 2 di uomini che volontariamente o violentemente hanno approfittato del corpo debole di Shirin-Gol. La vita della donna scorre così, tra fughe, morte e distruzione. Nei suoi viaggi un po’ alla volta la sua famiglia perde un elemento, ma lei continua a vivere, a scappare e a lottare. Conosce la politica russa afgana e l’estremismo talebano; la gioia e il dolore; la vita e la morte.
Non voglio raccontarvi di più perché la storia per quanto sia dura e a tratti cruda, merita di essere letta. Soprattutto da noi donne!
Per quanto riguarda il linguaggio, esso è ricco di termini afgani, a cui non sempre è accostata la traduzione, rendendo così di difficile comprensione alcuni passi. L’autrice utilizza spesso l’escamotage dell’epiteto, figura retorica che consiste nell’associare a un nome proprio una caratteristica: ad esempio, “Morad, che fuma oppio” oppure “Shirin-Gol, che sa leggere e sa scrivere”. Questi epiteti però non sono costanti nel libro, ma cambiano a secondo della situazione. La storia è scorrevole e mai noiosa. Però il finale un po’ mi ha lasciata perplessa. Ma in fin dei conti mi è piaciuto. Il mio voto è quasi 4 (non è un voto pieno).
Autrice
Regista e scrittrice, è nata in Iran, a Tehran, ed ha vissuto a lungo in Afghanistan. Ha girato importanti documentari per raccontare la vita del popolo afgano e, soprattutto, la drammatica condizione delle donne. Dalla sua esperienza nei campi profughi è nata l’idea per il suo primo romanzo Afghanistan, dove Dio viene solo per piangere, pubblicato in Germania, dove ha dominato le classifiche, tradotto in diciassette paesi. Come scrittrice ha pubblicato anche La bambina che non esisteva e Il sussurro della montagna proibita.
A presto
Isy
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