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29 giugno 2018

Classici... da libreria: Malombra di Antonio Fogazzaro

Buona lettura!

Titolo: Malombra
Autore: Antonio Fogazzaro
Pagine: 448
Prezzo: 9 euro
Editore: Feltrinelli

Trama
La protagonista indiscussa di questo grande romanzo d’amore e follia è la giovane, oscuramente affascinante Marina Crusnelli di Malombra, ospitata dallo zio, il conte Cesare d’Ormengo, in una magnifica villa sul Lago di Como. Venuta in possesso di un autografo dell’antenata Cecilia, apparentemente portata alla morte dal marito, padre dell’attuale conte, si convince di esserne la reincarnazione e di avere l’obbligo di vendicarne l’assassinio. Quando al castello giunge lo sconosciuto scrittore Corrado Silla, orfano di una cara amica del conte Cesare, i due giovani vengono subito travolti da un amore tormentato ma assoluto. Un amore destinato tuttavia, a causa della crescente pazzia di Marina, a essere trascinato verso un gorgo inevitabile. Un romanzo fondamentale dell’Ottocento italiano, molto amato anche da autori poeticamente distanti come Verga.

Ogni tanto, quando ho del tempo libero, mi piace stilare liste di libri da leggere e, una che faccio e rifaccio piuttosto spesso, è relativa agli autori italiani a cavallo tra l’800 e il 900 che non ho ancora letto. Ho preso in mano molti classici del romanzo stranieri ma quelli italiani li ho sempre snobbati, senza un reale motivo. Per questo ho voluto leggere “Malombra” di Fogazzaro e leggerò anche altri autori italiani soprattutto dello scorso secolo. O almeno queste sono le mie intenzioni.

Il protagonista del romanzo è Corrado Silla, un giovane scrittore milanese che viene invitato a visitare una villa solitaria, nei pressi di un lago italiano non ben precisato, dal conte che vi abita. Qui, oltre a conoscere qualcosa d’importante sul suo passato, incontra e s’innamora della bella Marina Crusnelli di Malombra, la nipote orfana del conte. La ragazza, isolata e lontana da ogni amicizia o punto di riferimento, vive le sue giornate passeggiando, leggendo e contrariando suo zio nel tentativo di essere allontanata da quella che vede come una prigionia. Le cose cambiano quando trova nella sua stanza un diario di una certa Cecilia, sua antenata, triste moglie solitaria del padre del conte e si convince di esserne la sua reincarnazione. Di qui inizia un lungo e cupo periodo di vendette e pazzia fino al terribile epilogo.


Devo ammettere che mi sono approcciata con un po’ di timore a questo libro perché le tematiche trattate mi erano sembrate banali. È inutile negare che mi sono dovuta ampliamente ricredere perché “Malombra” è un romanzo ricco di pathos, sentimenti e di onore oltre ad essere arricchito da descrizioni paesaggistiche davvero superbe. La storia, come avrete letto, è parecchio ingarbugliata e il finale lascia davvero spiazzati, in modo positivo, per quanto mi riguarda.
Il libro, pubblicato alla fine dell’ottocento, è un perfetto esempio di letteratura italiana decadente e ciò è in linea sia con il luogo prescelto come ambientazione, sia per il tema della pazzia, sia per alcuni personaggi retrogradi e attaccati al passato. La prima cosa che mi ha colpito è relativa alle descrizioni che sono davvero sublimi: grazie ai dettagli e alla poesia con cui sono espressi, mi sembrava di passeggiare nel castello, di remare sul lago e di perdermi tra le fronde dei boschi. Insomma, mi è sembrato un luogo davvero incantato che mi ha affascinata sin dal primo istante. I personaggi principali non mi hanno colpita particolarmente, mi sono piaciuti molto di più quelli secondari che sono più caratteristici e hanno un ruolo rilevante nella narrazione. Silla è un ragazzo pieno di speranze e illusioni che cerca di farsi strada scrivendo mentre Marina è una ragazza viziata e altezzosa che mi è sembrata antipatica immediatamente. La storia della reincarnazione e della pazzia, piuttosto che mitigare la sensazione e farmela apprezzare, hanno sortito l’effetto contrario perché lei risulta sempre glaciale. Insomma, la sua bellezza mediterranea non corrisponde a un carattere aperto, anzi, Marina è una donna capricciosa e superba, un concentrato di caratteristiche negative. Per questo motivo non mi sono riuscita a godere il libro pienamente e, al contrario, ho storto il naso ogni volta che lei appariva e dialogava con gli altri personaggi. Nei momenti di solitudine, quando ragionava con sé stessa, la situazione migliorava leggermente ma non abbastanza.
A parte la mia personale antipatia per la marchesina di Malolmbra, il libro mi è piaciuto perché l’ho trovato denso e poetico, ricco di sentimenti, pensieri e descrizioni. Era davvero da tanto che non leggevo qualcosa del genere e, a parte la lentezza nella lettura, ho respirato una boccata d’aria “pulita” e “rinfrescante” per il mio cervello.
Assegno quattro stelline e mezzo al libro.


Lya

01 febbraio 2018

Classici da...libreria: L'abbazia di Northanger di Jane Austen

Buona lettura a tutti!


Titolo: L'abbazia di Northanger
Autore: Jane Austen
Pagine: 212
Prezzo: 9 euro
Editore: Garzanti

Trama

Una storia d'amore sboccia nella cittadina termale inglese di Bath tra un giovane e benestante pastore anglicano e la protagonista del romanzo, Catherine Morland. Creduta una ricca ereditiera, Catherine viene invitata dal padre del fidanzato nella residenza di famiglia, l'ex-abbazia di Northanger. Qui la protagonista vive, in uno scambio tra fantasia e realtà, banali eventi quotidiani alterandoli alla luce di immaginarie atmosfere di terrore, tanto da mettere a repentaglio il rapporto sentimentale appena nato. Celebrazione dei riti d'iniziazione sociale della borghesia inglese di provincia, quest'opera della Austin rappresenta una sottile parodia del romanzo sentimentale e soprattutto del romanzo gotico.

Finalmente, dopo anni che desideravo finire tutti i libri scritti della Austen (o almeno i più famosi), sono riuscita a leggere e ad apprezzare “L’abbazia di Northanger”.

La protagonista della storia è, come sempre, una giovane donna proveniente dalla campagna che sperimenta sulla sua pelle il brivido della scoperta e dell’avventura anche se non nel mio che aveva immaginato. Catherine, ha sempre vissuto con una famiglia numerosa e comportandosi spesso come un maschiaccio finché, arrivata la sua adolescenza è sbocciata ed è diventata una ragazza carina e di buon cuore. Il suo soggiorno a Bath con dei vicini e il suo successivo trasferimento nell’abbazia di Northanger, casa di nuovi amici, le aprono le porte del mondo.


Devo dire di aver apprezzato il romanzo, non tanto per la storia narrata che è abbastanza prevedibile e carina, ma soprattutto per gli interventi diretti della Austen. Mi spiego meglio. Sin dalle prime pagine del romanzo la Austen ironizza pesantemente su molti argomenti e situazioni tipici dell’essere donna a quell’epoca e inserisce queste sue poco velate critiche all’interno della storia. Questo suo criticare e ironizzare sui dialoghi e sulle situazioni femminili, fa comprendere come lei sia stata una donna eccezionale e molto fuori dal suo tempo. La Austen gioca su questa dualità di narratrice onnisciente/giudice e sulla semplicità e la bontà d’animo della sua protagonista, dando al libro una marcia in più che mi è molto piaciuta. Insomma, se da una parte c’è una donna che guarda con criticità al bon ton delle ragazze dell’epoca, dall'altra c’è Catherine che fa di ogni piccola esperienza un grande tesoro gioendo di ogni nuova amicizia frivola. Oltre a questo, la Austen inserisce anche delle recensioni indirette ai romanzi gotici delle altre donne scrittrici più in voga dell’inizio dell’ottocento. Sinceramente mi sono segnata un paio di titoli che mi hanno interessata.
Questa presenza, quasi ingombrante, della scrittrice è sicuramente il punto vincente del romanzo che, come ho detto prima, racconta una storia abbastanza semplice e“piatta”. Catherine, dopo una vita spensierata in campagna, si reca a Bath con dei conoscenti e qui fa la coscienza con diverse giovani dame e galanti gentiluomini. Si vengono a creare delle situazioni imbarazzanti per la ragazza che, dopo alcune settimane, decide di accettare l’ospitalità dei Tilney, fratello e sorella, che vivono con il padre in un’antica abbazia. Contagiata dalle letture gotiche, Catherine si aspetta di vivere un’incredibile avventura alla scoperta di passaggi segreti e tesori nascosti ma rimane piuttosto delusa. Si creano altre situazioni difficili dettate da invidie e gelosie e poi tutto si risolve in meglio. Come vedete il racconto non è nulla di particolarmente indimenticabile ma comunque mi è piaciuto e mi sono divertita parecchio a vivere nella mia mente la dualità dell’autrice. La parte che ho più apprezzato (oltre agli interventi della Austen) e che ho sentito molto vicina a me è quella relativa ai sogni ad occhi aperti della protagonista: lei è in grande fermento per la possibilità di abitare in un luogo così antico e carico di storia come l’abbazia e quindi lascia viaggiare la sua fantasia facendosi dei veri e propri film che la portano completamente fuori strada. Da lettrice sfegatata di romanzi storici, anche io certe volte lascio libere le redini della mia fantasia e quindi sono riuscita ad immedesimarmi nella protagonista, divertendomi enormemente.
Per queste ragioni ho deciso di assegnare 3 stelline e mezzo al libro che non sarà il più memorabile dalla Austen ma che comunque è degno di essere letto.

Lya

14 luglio 2017

CLASSICI da libreria: Agnes Grey di Anne Brontë

Buona lettura!

Titolo: Agnes Grey
Autore: Anne Brontë
Pagine:250
Prezzo: 5,90 euro
Editore: Newton Compton

Trama
Agnes Grey, la protagonista dell’omonimo romanzo del 1847, opera prima e in parte autobiografica di Anne Brontë, fa la governante presso due famiglie della facoltosa borghesia inglese di età vittoriana. La sua famiglia è caduta in disgrazia e prendersi cura dei figli dei ricchi, indisciplinati e viziati, è l’unica scelta rispettabile che la ragazza possa fare per sopravvivere. Con una prosa elegante e scorrevole, la minore delle sorelle Brontë mette a confronto la grettezza della nobiltà dell’epoca, del tutto priva di scrupoli e di valori, e i sani principi morali di una giovane timorata di Dio, che cerca in ogni modo di smascherare il lato oscuro delle persone “perbene”.

Anne Brontë(1820-1849), sorella minore di Charlotte ed Emily, visse fino a diciannove anni nella campagna inglese dello Yorkshire, insieme al padre, un umile pastore di origini irlandesi, e al resto della famiglia. Impiegatasi poi come governante, lasciò presto la professione per coltivare le proprie ambizioni letterarie, che furono tuttavia stroncate dalla tubercolosi, malattia che portò Anne ad una morte precoce nel 1849. Fu autrice di un volume di poesie, scritte insieme alle sorelle, e di due romanzi, Agnes Grey e L’inquilino di Palazzo Wildfell.


Presente da tipo tre o quattro anni sul mio scaffale dei libri da leggere, “Agnes Gray” è uno dei classici che ho deciso di leggere nell'estate del 2016, insieme a Frankenstein.

La protagonista, che dà anche il titolo al libro, è una ragazza giovane e di belle speranze che per cercare un propria indipendenza economica e anche intellettuale, decide di allontanarsi dalla sua casa per fare da governante in alcune famiglie della borghesia inglese. Tra bambini viziatissimi e capricciosi, genitori disattenti e pretenziosi, Agnes impara a rapportarsi in modo diplomatico e paziente con le famiglie da cui alloggia.

Sinceramente non ho molto da dire su questo romanzo: è ambientato in età vittoriana nella campagna inglese, è parzialmente autobiografico perché l’autrice è stata effettivamente una governante presso alcune famiglie. Più che un romanzo è quasi un trattato pedagogico perché Agnes, tranne che all'inizio quando racconta del suo rapporto con la sorella e la madre, diventa un’insegnante al servizio dei capricci dei suoi studenti. Lei racconta, con dovizia di dettagli, le angherie che è costretta a subire in silenzio mentre fa il suo lavoro, descrive i suoi piccoli allievi e le loro abitudini e di riflesso anche quelle dei loro genitori. Abbiamo visto abbastanza film da poter intuire quali sono le problematiche che la ragazza si trova ad affrontare. Non posso negare di aver trovato questa lettura piuttosto scialba e poco intraprendente, come la protagonista stessa che è troppo modesta, troppo diplomatica e sottomessa, senza opinioni precise (o almeno non espresse) e con un carattere privo di definizione. Praticamente, anche se la psiche di Agnes è descritta e raccontata, la considero comunque una protagonista piatta.
Non posso dire che il libro sia brutto, perché non lo è, ma non ha la scintilla che scatena il VERO interesse del lettore e non credo che il romanzo sia inseribile tra i “grandi classici” dell’ottocento inglese.
Assegno due stelline scarse al libro e non lo consiglio perché ci sono libri dello stesso periodo e della stessa provenienza molto più interessanti e di “spessore”.

Lya

10 maggio 2016

Classici da... libreria: Moby Dick

Buon pomeriggio lettori!
eccomi qui con la recensione di un grande classico della letteratura americana.

Titolo: Moby Dick
Autore: Herman Melville
Pagine: 689
Prezzo: 10 euro

Trama
Vi narra in prima persona la sua avventura Ismaele, che si imbarca come marinaio assieme a un ramponiere indiano sulla baleniera Pequod. Il capitano della nave, Achab, un personaggio cupo che incute rispetto e timore nei suoi uomini, ha perso una gamba per colpa della balena bianca Moby Dick e ora vuole vendicarsene, a qualunque costo. Inizia così una lunga caccia. La snervante attesa dell'incontro con il cetaceo che sfugge al capitano offrirà al narratore l'occasione di meditazioni scientifiche, religiose, filosofiche e artistiche, all'interno della struttura del romanzo d'avventura per mare. Intanto l'immenso oceano, con i suoi mostri e le sue profondità, si erge in tutta la propria potenza e imperscrutabilità dinanzi all'uomo, che gli può contrapporre solo una fragile esistenza, oscillante tra il bene e il male. Fino a che sopraggiunge la catastrofe finale, fatalmente presentita, quando Moby Dick distruggerà la baleniera e tutto l'equipaggio trascinando con sé Achab e il suo arpione. Solo Ismaele si salverà e potrà così raccontare la loro folle, ambiziosa quanto disperata, impresa.


In questo mese ho voglia di scrivere solo recensioni brevi e credo che anche questa lo sarà. Ho deciso all’inizio del 2015 quale classico-mattonazzo dell’estate leggere e la mia scelta è ricaduta su Moby Dick, grande romanzo americano pubblicato nella prima metà dell’800.
Dopo “Anna Karenina”, quindi letteratura russa, dopo il bellissimo “Cent’anni di solitudine” dell’autore colombiano Marquez, ho deciso di provare con qualcosa di americano. “Il grande Gatsby” non mi piacque particolarmente, ho provato in passato con Hemingway ma la cosa non è andata bene e quindi, vedendo il tomone di Melville che ho comprato usato, ho deciso di dare un chance. Vi dico solo una cosa: inizio a credere di avere qualche problema con i classici della letteratura americana (Capote a parte).

La voce narrante del libro è Ismaele, uomo che, desideroso di avventura, decide d’imbarcarsi per tre lunghi anni su una baleniera per imparare il mestiere e vedere questi enormi “mostri” marini. La storia prende avvio con la ricerca di una nave su cui imbarcarsi per poi svolgersi a bordo della prescelta: la Pequod con il capitano Achab. Quest’ultimo, personaggio davvero particolare, è ossessionato da Moby Dick, un’enorme balena bianca che lo ha mutilato anni addietro e che lui vuole uccidere. Tutto il romanzo prelude la caccia finale che finisce in tragedia.

Parto subito dicendo che questo libro è lentissimo, ma lento che di più lento non si può. Nelle prime 200 pagine c’è solo una presentazione della voce narrante che gira per imbarcarsi conoscendo un ramponiere polinesiano. Le altre 400 pagine invece parlano della vita a bordo, degli incontri in mare con altre navi e, qua e là, delle particolari descrizioni del “leviatano”(la balena cioè), raccontata storicamente, iconograficamente, fisicamente e con degli aneddoti particolari. Devo dire che queste parti più didattiche erano i frammenti più interessanti del libro perché viene proprio analizzata la storia della balena e del capodoglio che l’uomo ha sempre osservato. La storia del romanzo, di per sé, è davvero molto scarna ma ci sono una marea di descrizioni, di dialoghi tra marinai, di racconti di vita e di avventure. Tutto questo mi ha reso la lettura davvero molto noiosa e lenta e ho meditato numerose volte di abbandonare il libro ma, ho stretto i denti e sono arrivata alla fine. Non mi è piaciuto, oltre perché l’animalista che è in me ha protestato tante volte, ma perché è lento (l’ho già detto vero?), noioso e spesso ripetitivo. Forse il messaggio di fondo dell’ossessione che porta alla distruzione è profondo e bello ma in mezzo a tutte quelle parole va davvero ricercato.
Assegno 2 stelline al romanzo solo per le parti didattiche che sono interessanti e variegate.



Lya

31 ottobre 2015

Classici...da libreria “Il giro del mondo in 80 giorni” di Jules Verne

Buongiorno lettori!

Titolo: Il giro del mondo in 80 giorni
Autore: Jules Verne
Pagine: 320
Prezzo: 8,90€
Editore: Bur

Trama
Il gentiluomo Phileas Fogg ha scommesso con i suoi amici del club che riuscirà a compiere il giro del mondo in ottanta giorni. Insieme al domestico Passepartout, Fogg lascia l'Inghilterra mercoledì 2 ottobre 1872. Per vincere la scommessa, viaggerà a bordo dei più moderni mezzi di trasporto, dai treni ai piroscafi , ma anche sulla groppa di elefanti e su una slitta a vela...

Recensione
Prima o poi sarebbe dovuto arrivare il suo momento. E così è stato. Finalmente Jules Verne rientra tra gli autori letti. Egli è stato uno dei pionieri della letteratura scientifica, da cui poi sarebbe derivata la più nota fantascienza e del romanzo d’avventura. La mia scelta è ricaduta su un romanzo su uno dei classici romanzi d’avventura per ragazzi, in cui la componente fantascientifica è meno presente rispetto ad altri romanzo del celebre autore francese.
“Il giro del mondo in 80 giorni” si presenta come un romanzo in cui la componente scientifica è sì forte, ma non di tipo “fantastico”, come può essere invece in romanzi quali “Dalla Terra alla Luna” o il celebre “Viaggio al centro della Terra”.
“il giro del mondo in 80 giorni” è un elogio allo sviluppo scientifico che ha permesso, nell’800, di rendere possibile compiere un intero viaggio attorno alla terra in meno di 3 mesi. La trama, nella sua semplicità, risulta avvincente e intrigante.
Phileas Fogg è ricco, vive in una grande casa, è meticoloso, scapolo, abitudinario e diciamolo, un po’ noioso. Ma è proprio questa sua precisa e invariabile scansione delle giornate che ha spinto il giovane Passepartout ad accettare il lavoro di domestico. Di origini francesi, il maggiordomo non ama le sorprese o il non sapere cosa lo aspetta, e nel suo nuovo datore di lavoro sente di aver finalmente trovato il “padrone ideale”. Ma il destino ha in serbo un gioco inaspettato: proprio durante il suo primo giorno di lavoro, il 2 ottobre 1872, l’inglese Phileas Fogg accetta una scommessa di 20000 sterline contro il Reform Club, sostenendo di essere in grado di compiere il giro del mondo in 80 giorni. L’impresa sarà vittoriosa qualora egli torni dove tutto ebbe inizio entro le ore 12 del 21 dicembre 1872. Avrà così inizio un viaggio avventuroso, pericoloso, che minerà le più profonde convinzioni del domestico Passepartout, il quale inizialmente non prende bene l’idea di questo percorso “incognito”, ma che pian piano allarga i propri orizzonti.
Alla trama si aggiunge ben presto anche una secondaria che, lentamente, prende piede e si intreccia a quella principale. Qualche giorno prima un furto di 55000 sterline presso la Banca d’Inghilterra mobilita l’intera Scotland Yard e ben presto si scopre che il ladro in realtà altri non è che un gentleman. E sarà proprio un poliziotto, l’astuto Fix, a sospettare che dietro l’impresa di Fogg non ci sia una semplice scommessa e la salvaguardia dell’orgoglio personale, bensì un astuto piano per scappare senza destare scalpore o scandalo. L’investigatore parte dunque all’inseguimento del duo di viaggiatori in questo tour del mondo, dando vita a scene divertenti ed esilaranti equivoci, che permettono al romanzo di avere anche una verve comica.
Un ulteriore elemento è dato dall’aggiunta nel gruppo della giovane Adua, che contribuirà a dare un aspetto piacevolmente romantico alla storia, purché non vi aspettiate la classica storia d’amore fatta di passione e baci.
Il linguaggio di Jules Verne mi ha particolarmente colpita, certo il merito è anche dei traduttori che sono riusciti a mantenere un linguaggio consono a un testo dell’800. Una pecca che spesso viene associata alla scrittura di Jules Verne è la prolissi e il suo dilungarsi in estenuanti descrizioni. Al contrario io ho apprezzato particolarmente questo aspetto diaristico, ricco di descrizioni e minuzioso nell’elenco della tappe e dei dettagli poiché è esattamente ciò che mi aspettavo da un romanzo d’avventura che narra di un viaggio avventuroso attorno al mondo.

Il mio giudizio finale è di 4 stelline. Ovviamente questo è solo l’inizio del mio viaggio assieme a Jules Verne!

30 ottobre 2015

Classici da libreria: Il Gattopardo

Buongiorno lettori!
dopo secoli, eccomi con la rubrica dedicata ai classici! Oggi vi parlerò delle mie impressioni riguardo un classico della letteratura italiana del '900: il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.

Titolo: Il Gattopardo
Autore: Giuseppe Tomasi di Lampedusa
Pagine:221
Prezzo: 8 euro
Editore: La biblioteca di Repubblica

Trama 
Rimasto per alcuni anni a giacere nei cassetti di vari editori, Il Gattopardo vide la luce soltanto nel 1958, più di un anno dopo la morte del suo autore. E divenne immediatamente un "classico", conoscendo un successo di pubblico senza precedenti e suscitando vibranti polemiche, certo più ideologiche che letterarie. La complessa figura del principe Fabrizio di Salina, protagonista assoluto del romanzo, è infatti - come quella di tutti i grandi personaggi - profondamente ambigua: colto, ironico, autoritario, animato da un disprezzo tutto intellettuale per il genere umano, egli incarna consapevolmente i tratti di una civiltà, quella dell'antica aristocrazia siciliana, ormai al tramonto sotto i colpi della storia. All'indomani dell'Unità d'Italia, egli accoglie i profondi sconvolgimenti da essa provocati con lo smagato scetticismo di chi è convinto che la Sicilia, e il mondo, non cambieranno mai. Al massimo, potranno cambiare, ma in peggio, i detentori del potere: al dominio immobile degli aristocratici, succederà quello attivo, imprenditoriale e spietato della nuova borghesia isolana, avida e incolta, ben rappresentata dall'arricchito Calogero Sedara, che Fabrizio detesta profondamente, e che proprio per questo proporrà come Senatore del Regno all'inviato del re d'Italia. E la bellissima Angelica, figlia di Calogero, andrà in sposa al bel Tancredi, squattrinato nipote di Fabrizio, rimpinguando con le sue cospicue sostanze quelle ormai esauste della casata nobiliare.



Ho da eoni questo libro in libreria ma l’ho sempre snobbato perché avevo visto il film e non mi era mai interessato particolarmente. Grazie alla sfida delle categorie e della tbr ho iniziato a cercare qualche libro della letteratura italiana del 900, periodo che conosco solo attraverso gli studi ma non con la lettura diretta delle opere. Ho osservato la mia libreria e “Il gattopardo” era lì che mi chiamava.

La famosissima storia, ambientata nella Sicilia di fino ottocento, racconta da una parte della rapida decadenza dell’aristocrazia italiana alla vigilia della nascita della Repubblica, dall’altra l’amore, non privo d’interessi, di Tancredi, nipote del Principe dei Salina, nei confronti della ricca borghese Angelica.

A primo impatto il libro mi è sembrato noioso e poco interessante ma solo dopo essere arrivata a buon punto mi sono resa conto che desideravo sapere come l’autore terminava il racconto. Per questo motivo, seppur con debita calma, ho terminato questa lettura senza pentirmene.
Sicuramente ho trovato il romanzo lento e davvero molto descrittivo in quanto tutto è descritto nei minimi dettagli, dal mobilio delle dimore all’abbigliamento dei personaggi.  Mi ha colpita moltissimo l’apertura del romanzo dove l’autore ha esordito con una splendida descrizione di casa Salina e, attraverso la gli occhi degli affreschi mitologici presenti alle pareti, ha dato l’imput per descrivere questa nobile famiglia. Insieme a queste particolarissime descrizioni, ci sono anche molte riflessioni del Principe Fabrizio che ragiona insieme al lettore di politica, di caccia e persino di economia. Il protagonista sembra tessere un continuo discorso con chi lo sta leggendo, pur parlando con se stesso e senza ricadere nel banale anzi, con la sua sensualità e la sua fine ironia si rivela essere un personaggio complesso e sfaccettato.
L’autore ha voluto dividere il romanzo in più scene e se alcune sono molto belle, come quella famosissima del ballo o la conclusione, altre sono piuttosto noiose come quella della caccia. Ovviamente devo dedicare una piccola parentesi alla storia d’amore tra Tancredi e Angelica. Il ragazzo, un po’ scapestrato, è il nipote preferito del Principe e, guardando al futuro, decide di diventare un sostenitore della nascente Repubblica italiana mettendosi prima al servizio di Garibaldi e poi della dinastia sabauda. Questa lungimiranza è molto apprezzata da Fabrizio insieme, dopo alcuni ragionamenti economici, anche alla scelta di sposare Angelica. Questa bellissima fanciulla è la figlia di un piccolo borghese in ascesa e discende da alcuni personaggi davvero singolari di Donnafugata. Insomma, non è proprio un buon partito per un nobile come Tancredi ma grazie alla sua ricchezza e alla sua avvenenza Angelica conquista tutti e diventa il vero simbolo dell’evoluzione della società nella famiglia Salina, più della Repubblica. In generale, quindi, l’amore tra i due è una scusa per dimostrare il cambiamento in atto con la borghesia che soppianta, sia economicamente che politicamente, gli aristocratici, questi ultimi così abituati a far nulla, se non dedicarsi a passatempi personali, da comportarsi con passività e guardando dall’alto ciò che accade. Tutto questo contro l’ottica del lavoro borghese e il dinamismo dimostrato da questa classe sociale emergente alla ricerca di maggiori diritti e riconoscimenti. Insomma, la storia d’Italia c’è ma fa da sfondo alle riflessioni del Principe Salina perché per lui questi avvenimenti non sono così fondamentale quanto le conseguenze: egli comprende come l’indolenza dell’aristocrazie terriera siciliana sia ormai sul viale del tramonto.
Il finale del libro è davvero molto sferzante poiché descrive la situazione, quasi fuori dal mondo, di alcune delle figlie del Principe che 50 anni dopo gli avvenimenti sono ancora ancorate alle vecchie e superate tradizioni aristocratiche.
Nell’insieme il libro non ha uno svolgimento particolarmente evidente ma racconta la storia di un’età di snodo facendone un quadro piuttosto obiettivo seppur di parte.
“Il gattopardo” è l’affresco di un epoca per noi lontanissima con la presenza di variegate tematiche raccontate senza peli sulla lingua poiché il principe si dimostra passionale, lunatico o ironico a seconda dei momenti.
Assegno quattro stelline al romanzo ripromettendomi di leggere qualcos’altro del panorama novecentesco italiano.
Credo che sia arrivato il momento di rivedermi il film!

Lya
 

25 febbraio 2015

Classici...da libreria: Il ritorno alla brughiera di Thomas Hardy

Dopo davero molto tempo eccomi di nuovo a parlarvi delle mie impressioni di un classico.. da libreria. In questo periodo non ne sto leggendo moltissimi... ho letto Cent'anni di solitudine ma non sono stata in grado di scrivere una recensione che mi soddisfacesse; per quest'estate prevedo di leggere Moby Dick e spero anche un altro classico. Vi lascio alla mia "recensione" di uno dei libri meno conosciuti di Thomas Hardy.
Buona lettura!

Titolo:Il ritorno alla brughiera
Autore:Thomas Hardy
Pagine: 432
Prezzo: 5,90 euro
Editore: La biblioteca dell'espresso

Trama
"Ritorno alla brughiera", pubblicato nel 1878, è il primo dei grandi romanzi della maturità di Thomas Hardy e ha già il tratto fondamentale di tutta la sua narrativa maggiore, in particolare di "Tess dei d’Urberville" (1891) e "Jude l’oscuro" (1895): dentro una narrazione di taglio realistico è infatti innervato un nucleo nudamente tragico, con il suo conflitto insanabile e la sua struttura aporetica che, come è proprio del tragico, non hanno né vera soluzione né un vero “perché”.
Dentro la trama delle vicende narrate, le domande sottese non hanno insomma risposta, nonostante tutte le stratificazioni di senso, e le complesse e varie elaborazioni metaforiche che la dimensione realistica e la vigile demiurgia del narratore onnisciente dispiegano per circoscrivere e illuminare questo oscuro e ineradicabile nucleo drammatico.
Il paesaggio è certamente la sua prima incarnazione simbolica: è il Wessex, la zona geograficamente insieme circoscritta e immaginaria, quasi un’isola chiusa e ferma nel tempo, immutata nel corso dei secoli e tagliata fuori dalle trasformazioni violente e distruttive della rivoluzione industriale, che fa da quinta e orizzonte a tutti i romanzi della maturità.
In particolare in "Ritorno alla brughiera", a delineare lo spazio tragico è Egdon Heath, una brulla, aspra distesa di terra, sferzata dai venti, con le sue brevi primavere, le estati accese ed arse, i lunghi inverni di neve e di buio, i piccoli villaggi sparsi, le colline e gli avvallamenti, le case isolate, i grossi cespugli di ginestra gialla, e le macchie verde cupo delle felci.


Attirata dal titolo ho iniziato a leggere "Ritorno alla brughiera", così, senza aspettarmi nulla, infatti conoscevo davvero poco sia l'autore che le sue opere, infatti Tess of  the Urbervilles manca alla mia collezione di classici pur avendolo studiato in letteratura. Insomma mi sono approcciata al romanzo in modo abbastanza spensierato e sicuramente per questo motivo sono riuscita ad apprezzare dei risvolti che non mi avrebbero altrimenti coinvolto.

I protagonisti sono principalmente quattro: due giovani donne e due uomini che vivono nella desolata brughiera inglese che intrecciano le loro vite in modi inaspettati.
Thomasine è una ragazza semplice e timorata di Dio che vuole disperatamente sposare Damon per non essere considerata una disonorata agli occhi degli altri, mentre il suo fidanzato è inesorabilmente attratto da Eustacia, una bellissima giovane viziata e approfittatrice. La storia diventa complessa con il ritorno alla brughiera di Clym cugino di Thomasine; Eustacia vede in questo ragazzo la possibilità di fuggire da quelle lande desolate e quindi gli si avvicina, ma non sa che Clym ama quei luoghi e desidera rimanere proprio lì. La vita di questi quattro personaggi s'intreccia fino ad arrivare a un finale tragico.

Non era proprio quello che mi aspettavo, ma il libro mi è piaciuto, nonostante io abbia trovato davvero insopportabile Eustacia.
Quello che mi è subito saltato agli occhi è certamente legato alle descrizioni che sono forse le più vivide e belle che io abbia letto negli ultimi mesi. Il primo capitolo, di una decina scarsa di pagine, è tutto descrittivo: Hardy racconta la sua brughiera con luci e ombre, fa davvero parlare il silenzio di quelle terre desolate con le sue parole. Sinceramente le parti troppo descrittive di solito mi annoiano e mi spingono ad andare avanti velocemente, ma in questo caso le ho trovate davvero romantiche e poetiche e me le sono gustate con calma.
Ovviamente, essendo un romanzo scritto nell'ottocento nell’epoca vittoriana, lo stile è retorico e spesso ampolloso soprattutto nei dialoghi, ma non mi è risultato difficoltoso proseguire la lettura che anzi è stata scorrevole e abbastanza veloce per essere un classico. Sarà stato forse il periodo di maggiore libertà mentale che sto vivendo, ma le descrizioni che solitamente reputo pesanti, lo stile ricco che avrebbe rallentato la lettura, questa vola non mi è dispiaciuto per nulla.
I personaggi sono però un'altra storia perché Eustacia, che è praticamente la protagonista, mi è risultata subito antipatica, mentre gli altri tre, che sono quasi solo dei personaggi di sfondo, hanno avuto una maggiore presa sulla mia immaginazione. Fondamentalmente "ritorno alla brughiera" è la storia di due coppie che attraversano numerose peripezie, quasi tutte riconducibili ai desideri di Eustacia la quale, sempre inquieta e insoddisfatta, tenta di dare una svolta alla sua esistenza senza fare i conti con le conseguenza. Questa giovane e bella ragazza, anche poco modesta, vive la vita solitaria della brughiera come una prigioniera immersa nel silenzio assordante di questi luoghi con pochi conoscenti che non reputa alla sua altezza di donna raffinata e acculturata. Questo è il fulcro che fa muovere tutta la narrazione poiché il desiderio più profondo di Eustacia è quello di andare a vivere in città e, l'unico modo in cui può ottenere tutto questo è sposando un uomo che possa mantenerla tra vizi e vita mondana, un marito che possa esaudire i suoi capricci e valorizzare le sue capacità (inesistenti ai miei occhi). Ma le cose non vanno come si aspetta e quindi, dopo una serie di azioni sconsiderate ed errori di giudizio, distrugge la sua e le vite degli altri personaggi.
Il finale mi è decisamente piaciuto, nonostante la tragicità, perché era del tutto inaspettato e chiude la storia totalmente.
Insomma il romanzo mi è piaciuto complici le splendide descrizioni della brughiera e della vita di campagna e il finale a sorpresa .

Assegno quindi tre stelline e mezzo.

Lya




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