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07 settembre 2011

Recensione "Il club dei suicidi" di Albert Borris

Titolo: Il club dei suicidi
Autore: Albert Borris
Pagine: 294
Prezzo: 4,5€
Editore: Giunti

I dieci modi peggiori e più stupidi per suicidarsi descritti nel libro:
10. Fare finta di avere una pistola e di sparare alla polizia
9. Soffocarsi con un sacchetto di plastica
8. Arruolarsi
7. Saltare giù dal tetto di una casa
6. Leccare una presa elettrica
5. Tagliarsi i polsi con un coltello di plastica
4. Fumare e aspettare che ti venga il cancro
3. Starsene in piedi su una collina sotto la pioggia con una gruccia di metallo in mano e aspettare un fulmine
2. Overdose di lassativi! (dovrebbe essere al primo posto)
1. Ascoltare i Nirvana in macchina finché il cervello non ti va in pappa.
Mia recensione
Solo la trama la dice lunga sull'argomento del libro (cosa d'altronde abbastanza deducibile anche solo dal titolo!). Ma non dilunghiamoci già dalla prima fase e iniziamo subito con la recensione. 
“Il club dei suicidi” è il romanzo d’esordio di Albert Borris. La storia è narrata in prima persona da Owen, uno dei  4 protagonisti del romanzo, i quali formano il Club dei suicidi. Dopo essersi conosciuti in rete, i ragazzi-suicida (o presunti tali) decidono di intraprendere un viaggio attraverso i luoghi simbolo del suicidio, luoghi dove hanno vissuto o si sono uccisi i loro idoli. Vedremo attraverso i loro occhi la tomba di Hemingway, il fiume dove furono cosparse parte delle ceneri di Kurt Cobain, Meta ultima: la Death Valley. Gesto finale: suicidio di gruppo. Il romanzo inizia con il viaggio, ma la trama centrale è intervallata dalla riproposizioni delle conversazione in chat dei 4 giovani, cosicché il lettore può ripercorrere, man mano che va avanti, i sentimenti dei ragazzi nella difficile scelta. Ognuno di loro intraprende questo viaggio per ragioni più o meno chiare: Owen è tormentato da un terribile ricordo che non gli da pace, a tal punto da dimenticare persino dettagli della sua vita che probabilmente avrebbero alleviato il suo dolore; poi c’è Frank, l’alcool-dipendente, che vive perennemente un complesso d’inadeguatezza nei confronti del padre, di cui teme il giudizio; Jin-Ae è una ragazza scappata di casa, fuggita dal giudizio dei genitori che ancora non sanno del suo essere lesbica, segreto che lei preferisce portarsi nella tomba; infine c’è Audrey, la più convinta del gruppo, nonché l’unica entusiasta davvero del viaggio, ma ciò nonostante è diversa dagli altri. Ho trovato questi 4 personaggi ben caratterizzati, dove la frustrazione è ben delineata. Ho individuato in molti punti la superficialità propria degli adolescenti, che ha reso più realistico il racconto. 

Ciò nonostante la storia presenta in molti punti lacune che minano comunque la coerenza della storia. In primis il totale menefreghismo dei genitori nei confronti dei figli. Essi intraprendono un viaggio lungo molti giorni e i genitori non si fanno mai vivi, il che è assurdo se si considera che in alcune affermazioni fuoriesce il carattere ansioso dei genitori, visti come oppressori dei figli. Unica eccezione sono solo un paio di telefonate fatte dai ragazzi ai propri genitori, conversazioni brevi che non potrebbero mai accontentare un vero genitore preoccupato. Detto ciò però voglio aggiungere che la storia è ben sviluppata, i sentimenti dei ragazzi sono stati ben descritti, i loro stati d’animo ben delineati. 

Stilisticamente parlando ho trovato leggermente irritante l’utilizzo, nelle riproposizioni delle conversazioni in chat dei 4 aspiranti suicidi, del linguaggio giovanile caratterizzato da un utilizzo spropositato e ingiustificato di K, X e contrazione al limite del criptogramma!! Così  facendo il racconto mostra tutto dei giovani di oggi, compresa la loro voglia di pugnalare la grammatica e anche la loro superficialità. Inoltre anche nella storia il linguaggio talvolta è volgare, e non mi riferisco solo all’utilizzo di “parolacce”, bensì  a termini che personalmente mi fanno rabbrividire anche quando li sento in giro dalla bocca di ragazzi e ragazze (!) più o meno grandi.

A questo punto non posso che trarre le mie conclusioni (che forse sono già deducibili). In generale la storia mi è piaciuta, perché nonostante tutto essa rispecchia la realtà, ovvero come molte volte i giovani sono trascurati dai genitori, troppo presi dal lavoro o dai propri problemi, per preoccuparsi di chi amano. I discorsi che hanno tra di loro poi non sempre sono dettati dalla superficialità, anzi, sono profondi e evidenziano i numerosi conflitti interiori che ogni adolescente ha dovuto affrontare, e ai quali si risponde in modo diverso (lottando oppure lasciandosi andare!). I personaggi che più ho amato sono stati Owen e Audrey. Owen soprattutto, sfortunato, con un’infanzia traumatica, tra i 4 quello più a “rischio suicidio” (come direbbero gli psicologi!), ma in realtà quello più attaccato alla vita.
Un romanzo che ad eccezione di un paio di lacune, rimane una bella storia, che mi sento si consigliare se si cerca una lettura leggera, simpatica, ma anche riflessiva. Si legge davvero in poco tempo grazie allo stile scorrevole. E penso che non c’è un pubblico preciso a cui indirizzarlo, poiché sarebbe adatto ai giovani (e non) dai 13 anni in su.
Assegno 3 ½ stelline a causa delle lacune sopradescritte! Se non ci fossero state avrei assegnato ben volentieri un 4, anche e ½.

 E voi lo avete letto? Cosa ne pensate?
Isy

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